Quanta vita palpita nel breve passo evangelico oggi proclamato. Due donne toccate dalla grazia di Dio sperimentano, con i loro figli, la gioia di incontrarsi e raccontarsi. Nella casa di Elisabetta accade quello che è consueto per due parenti che si ritrovano dopo un po’ di tempo: il saluto, l’accoglienza, il dialogo. Una scena, vista da lontano, del tutto normale, forse banale.
Ma l’evangelista Luca ci fa avvicinare, per ascoltare quel dialogo tra Maria ed Elisabetta. Due donne che si stanno reciprocamente comunicando di aver appena sperimentato la presenza di Dio nella loro vita. E l’esperienza dell’una trova nuova luce nella testimonianza dell’altra. Maria è partita in fretta, dopo l’Annunciazione, perché ha saputo dall’Angelo che Elisabetta è incinta, nonostante sia ormai anziana e ritenuta sterile. Elisabetta, a sua volta, sente il figlio sussultarle nel grembo: Giovanni avverte nel saluto di Maria la presenza, ancora nascosta, ma non meno reale, del Salvatore. Maria riceve da Elisabetta la conferma dell’annuncio di Gabriele: sarà la madre del Signore. Elisabetta, in quel sussulto del grembo provocato da Maria, comprende che suo figlio sarà, ad un tempo, l’ultimo e il più grande dei profeti, colui che dirà “Ecco l’Agnello di Dio”. Davvero nulla è impossibile a Dio!
In quella casa sperduta sui monti della Giudea vediamo già un’immagine di Chiesa: una comunità di persone che, nella normalità della vita, raccontano la loro fede nata dall’aver fatto esperienza di Dio. L’incontro e il confronto nella comunità conferma e illumina la singola esperienza personale di fede. Senza comunità, c’è il forte rischio di disperdere o di non trovare il senso di quello che Dio in modo misterioso comunica nella vita di ogni credente. La fede non si può vivere senza la comunità. Non si tratta di trasmettere aridi precetti morali, ma di testimoniare la multiforme creatività dello Spirito, che fa incarnare il Cristo, in modo singolare, nella vita di ogni uomo e ogni donna che sa accoglierlo. L’incontro con Dio genera vita, non regole.
La comunità cristiana deve però essere pervasa di gioia, a conferma che davvero essa “funziona” e sostiene vitalmente i singoli che la compongono. Una gioia vera, profonda; gioia natalizia, ma anche pasquale, perché anche nei momenti di dolore e di difficoltà esprime la consapevolezza dell’appartenenza di ogni esistenza a Dio, che si è fatto carne per essere presente in ogni situazione. Una comunità che non testimonia prima di tutto questo tipo di gioia è una comunità a rischio di sfaldamento, che addirittura può portare lontano da Dio.
Paolo M.